Il blog di Rosanna Spinazzola

lunedì 5 maggio 2014

La prima parola del mago: SAPERE, e la creatività.

[Suggerimento musicale per la lettura: Harry Potter, In Noctem]


Come scrivevo in questo post, quattro sono le parole del mago, quattro parole alla base di ogni atto creativo.

La prima è SAPERE.

Secondo Eliphas Levi, il sapere è “un’intelligenza illuminata dallo studio”.

“Intelligenza” deriva dal verbo intelligĕre, "capire".
Intelligĕre è una contrazione del verbo latino legĕre, "leggere", con l'avverbio intus, "dentro". Intelligente, quindi, è colui che “legge dentro”, che va oltre la superficie e raggiunge il significato delle cose, in profondità.
Per sapere, è necessario avere un’ attitudine ad andare oltre l’apparenza delle cose, del già dato, del conosciuto.

Tolstoj alla scrivania
Il 1 novembre 1864 Tolstoj scriveva a Fet: “non scrivo nulla, ma lavoro fino al tormento. Non vi potete figurare quanto sia difficile questo lavoro preventivo di aratura profonda del campo su cui dovrò seminare. Meditare e ripensare tutto ciò che può accadere a tutti i futuri personaggi della presente opera, assai vasta, e riflettere su milioni di combinazioni possibili, per poi sceglierne la milionesima parte, è tremendamente arduo. E di questo io mi occupo”.(1)
L’opera era “Guerra e pace” e lo scrittore impiegò cinque anni a scriverla.

Emilio Salgari, il creatore di Sandokan, non visitò mai la Malesia, le isole dei Caraibi o l’India, ma le studiò attraverso le enciclopedie, le riviste di viaggi e i libri scovati nelle biblioteche di Verona e Torino. Scrisse più di 80 libri, la maggior parte dei quali ambientati in luoghi che non vide mai.

Prima di creare qualsiasi cosa, bisogna SAPERE, e sapere è anche esperire. Vivere.

Se non si è mai amato nessuno, come si potrà scrivere dell’amore? se non si è mai fallito, come si potrà trasmettere ai propri simili il dolore della perdita?

Sapere non è facile. Richiede, come tributi, pezzi di sé.
Solo se si è disposti a lasciare il vecchio per il nuovo, a mettere in discussione le certezze, le sicurezze, il tepore del conosciuto, si può conoscere davvero.
Perdere pezzi di sé è la conditio sine qua non di qualsiasi atto creativo.

Tolstoj cambiò molte volte l’impianto del suo romanzo e mentre scriveva studiava le cronache, le lettere, le testimonianze della guerra di cui voleva raccontare.
La contessa Tolstoj annottava nel suo diario: “Lévocka (diminutivo familiare di Lev) in tutto questo inverno è irritato, scrive tra le lacrime e con agitazione”.(2)

Se non si crea “con agitazione” e perché non si ha nulla da perdere, non si sta mettendo in campo la cosa più importante: la possibilità di perdere le proprie certezze, la sicurezza del conosciuto, il benessere di ciò che è familiare.
Non si sta andando oltre, non si studia, non si esperisce. Non si SA.


Un esercizio utile è quello di imporsi, almeno una volta a settimana, di dedicare del tempo alla lettura di un romanzo, di un saggio, visitare una città o scoprire angoli nuovi di quella in cui si vive, chiacchierare con qualcuno facendosi raccontare esperienze diverse dalle proprie, ricordi, nuovi punti di vista.

(1) TOLSTOJ, L., Guerra e pace, Roma, Gherardo Casini Edizioni Periodiche, Gennaio1966, pag. 8 dell' Introduzione.
(2) Ibidem, pag. 11 dell' Introduzione.


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